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mercoledì 26 febbraio 2014

La Barca del "Ciriola" : dall'Inghilterra al Porto di Ripa Grande

Dalla storia dei Fiumaroli al "Ciriola"

L’anno più brutto per i fiumaroli fu il 1932, quando ai romani che abitualmente passavano l’estate in riva al fiume fu intimato di andarsene per far posto a una colonia estiva fascista. Il territorio del contendere era una lingua di sabbia fluviale fra Ponte Duca d’Aosta e Ponte Risorgimento. Un nome che ancora aleggia nei ricordi dei vecchi del Tevere: la Spiaggia dei Polverini. 






















Era già quello di allora un modo come un altro per rifare pace con il fiume. Come una pacca sulla spalla che si dà a un vecchio amico col broncio. Perché Roma è del Tevere e i romani pure e da quando Garibaldi fece erigere i muraglioni (per salvare Roma dal suo fiume, anche questo va detto), quel rapporto e quella dipendenza si sono affievolite sempre di più, fino a sparire del tutto. Oggi il fiume e la città si sfiorano senza quasi toccarsi. Bisogna arrivare fin oltre Ponte Marconi per rivedere il bacio fra il Tevere e la terra, anche se la vita scorre molti metri più su, sul nuovo piano stradale che ha messo in sicuro le case dalle piene, le vite dalle acque limacciose. I fiumaroli, cioè coloro (sempre meno) che passano le loro giornate sul Tevere fra kajak, canottaggio e chiacchiere su un barcone dipinto in colori squillanti, ormai sono quasi una specie in via d’estinzione. Questi romani speciali hanno giusto un sussulto di notorietà il primo dell’anno con il tuffo da Ponte Cavour degli emuli di Mister Okay, quando Roma si ricorda di avere un fiume, ma l’attenzione non è quasi mai per loro che pure lo pensano tutto l’anno. 


Barcone del ciriolò anni 60

Fu dal 1932, dunque, che ai fiumaroli di Roma venne chiesto di ritirarsi in buon ordine. Chi aveva qualche soldo in più si spostò sui barconi dei dopolavoro e dei circoli, gli altri finirono sulla chiatta de Er Ciriola, la barca di un pescatore di anguille (le ciriole in romano) che si prestò a sostituire Polverini. Di quell’epoca rimane un film, Poveri ma belli, e i ricordi di chi ha avuto un parente che ha frequentato le feste e quella spiaggia galleggiante. Doveva essere una stagione “mitica”, in piena sintonia con la storia profonda della città. I romani facevano quello che avevano sempre fatto dalla notte dei tempi: fare il bagno al fiume. 


Da Carnen di Trastevere..con Lino Ventura e Giovanna Ralli


Un intera generazione di registi ed attori si è avvalsa dell'ambientazione della barca del Ciriola , le pellicole del neorealismo ce ne hanno riempito , per fortuna di immagini: si va dai ragazzi di vita ed Accattone di Pasolini a Poveri ma Belli e Carmen di trastevere..passando per tutta una serie di pellicole minori che il web può aiutarvi a scoprire, mostrando il ritratto di un Italia e di una Roma tra la ricostruzione del dopoguerra al Boom.




Chi era il Ciriola:

Che personaggio "er ciriola"! Luigi Rodolfo Benedetti, nato nel rione Regola, aveva un negozio di elettricista e alternava questa attività a quella di fiumarolo col suo galleggiante, attrezzato a "stabilimento balneare" sul Tevere.Veniva chiamato "ciriola" cioè "anguilla" perché, proprio come un’anguilla di fiume, si muoveva disinvolto nel Tevere. E non solo per proprio piacere, ma si tuffava tutte le volte che una vita era in pericolo e con sangue freddo e capacità, riportava in salvo chi si trovava in pericolo tra le acque del fiume. Er ciriola ricevette 160 medaglie per le 160 vite che aveva strappato al Tevere.Tra gli anni ’40 e ’70 il "Galleggiante d’er Ciriola" fu il punto di riferimento per i giovani romani. Snobbato da molti come luogo di divertimento dei"poveracci" si prese la sua rivincita quando Dino Risi lo utilizzò per ambientarci molte scene del suo magnifico"Poveri ma belli", nel 1956. Allora iniziò l’epoca d’oro per il galleggiante ed il suo proprietario. Divennero un mito del fiume. E il mito rimase anche quando un incendio pose fine all’attività e alla vita del barcone, nel 1970.



...Risalendo il fiume dall'arsenale di Porta Portese, l'isola ed i nostri ponti oltre Duca amedeo Aosta..oltre la mole di Castel S.Angelo  un tempo Fino la fine degli anni 80).. avremmo potuto vedere un grosso barcone in stato di completo abbandono, costituito da un lungo scafo sul cui ponte sorgeva una baracca costellata di oblò, con la scritta sui fianchi: "La nave dei folli".



Era un vecchio scafo dalle origini incerte: si sapeva che un tempo era utilizzato come trasporto da Fiumicino al Porto fluviale di Ripa Grande, dopo la grande guerra, un "fiumarolo" romano ne entra in possesso e, dopo avergli tolto il motore, aveva costruito quella lunga cabina trasformandolo in uno stabilimento fluviale: allora il "biondo Tevere" non era una cloaca a cielo aperto, e molti Romani vi si bagnavano.




Prima dell'ultima guerra la gestione passò al figlio del vecchio fiumarolo, di nome Rodolfo Benedetti, soprannominato "er Ciriola" perchè in acqua nuotava più lesto delle anguille, che a Roma sono dette "Ciriole",: anche egli un vecchio fiumarolo che, nella vita, salvò più di 180 vite di persone in procinto di annegare, raccogliendo oltre 50 medaglie ed onoreficenze per questo.




Con lui la Nave dei folli conobbe anni gaudenti di spensieratezza, fino a che, settantenne gli acciacchi di una vita letteralmente "Passata a mollo" lo spensero in un lettino dell'ospedale Santo spirito, verso la fine degli anni 50, ed il barcone, abbandonato, divenne asilo di un vecchio barbone che vi dimorò incontrastato sino la fine degli anni 70, quando rese l'anima a Dio ed il barcone agli dei tutelari del Tevere.




Rimasto in abbandono, circa 10 anni dopo attirò l'attenzione nientepopodimeno che di un Capitano di Vascello del genio Navale: Franco Gay, autorevole cultore di storia e costruzioni navali il quale, osservandolo, si accorse che lo scafo era in piastre di acciaio rivettate, aveva un dritto di prora  verticale e rinforzato, una poppa dalla strana linea e,  al centro, uno scasso che non poteva che essere il passaggio di un asse destinato a far ruotare due ruote a pale.
Tutto questo, specie la fattura dello scafo in piastre e la struttura della prora, facevano pensare ad una nave militare, non certo ad una chiatta.
Basandosi su questi ed altri riscontri, il Comandante Gay giunse alla convinzione che si trattasse dello scafo di una unità fluviale, facente parte di una piccola squadra di tre piroscafi a pale da 72 tonnellate, acquisita in Inghilterra nel 1841 dalla marina Pontificia.

le corvette a ripetta


Le tre navi erano state condotte a Roma dal tenente colonnello Enrico Cialdi, dopo un avventuroso viaggio di quasi Mille Miglia iniziato nel Maggio del 1842 a Blackwall, sul Tamigi, attraversando poi la manica, i canali interni della Francia, il Mare Tirreno e, risalendo il Tevere, giunte  al porto di Ripa Grande.




I piroscafi erano il Blasco de garay, il Papin e L'Archimede, a sopravvivere alle vicissitudini della storia fu proprio quest'ultimo che, senza mai lasciare il Tevere, fu rimorchiatore, trasporto mercie , anche, unità doganale del Papa Re, giungendo a navigare in questa veste, fino all'altezza di Passo Corese.


La dogana di Porto a Porta portese

Caduto il Regno Pontificio passò a quello d'Italia e fu attivo fino alla grande guerra; i registri del naviglio lo indicavano come la più antica nave a vapore italiana, ma con l'abbandono dell'Arsenale di Porta Portese e il graduale passaggio delle merci per strada ferrata anziché via fiume, l'Archimede fu abbandonato, ma la rustica ristrutturazione , prima del fiumarolo, poi del figlio"er Ciriola", lo riportarono ad una nuova e scapigliata giovinezza durante la quale fu immortalato come suddetto, da molto cinema neorealista.



L'arsenale di Porta Portese...all'estero lo avrebbero riqualificato a museo..da noi è in magazino di materiali edili..chissà se l'imu la paga il comune per conto suo...

A questo punto nell'ottobre del 1987, il Comandante Gay pensò bene di rivolgersi all'allora sindaco Signorello, Democristiano..illustrandogli brevemente il suo progetto: viste le buone condizioni di conservazione dello scafo e l'esiguità delle sovrastrutture originali, sarebbe stato agevole e poco costoso restaurare il vapore e restituirlo, anche se non navigante, ma identico all'originale, alla Città.



Il progetto riscosse interesse, plausi e lodi ma...niente di fattivo se non una copiosa serie di ma, di se, di forse e di vedremo, fino a che, e forse fu una fortuna, l'antico Dio Tevere decise di dirimere tutte le annose controversie a modo suo: una piena improvvisa travolse il vecchio scafo in una notte tempestosa, e alla mattina, là dove ormeggiava cigolante la "Nave dei Folli", si trovò solo un placido specchio d'acqua, dell'Archimede, divenuto barcone del Ciriola non rimase nemmeno una traccia, sotto i ponti e nemmeno alla foce..sparì avvolto da polemiche e mistero..cosnegnato alla storia da molti fotogrammi..e questo breve racconto.



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